lunedì 4 gennaio 2010

Si sta distruggendo la famiglia cristiana, si sta distruggendo la società del domani. L´Europa sta abbandonando le sue radici cristiane, ha ripetuto il Santo Padre.

Quest´anno l´incontro si terrà nella Piazza di Lima di Madrid, dove Giovanni Paolo II nel 1982 fece il primo incontro sulla famiglia. E dove ha gridato: ´Il futuro dell´umanità passa attraverso la famiglia´.

In questo nostro incontro uniti a Benedetto XVI potremo fare memoria di Giovanni Paolo II, dato che è stato lui a dire che è necessaria nella Chiesa una ´nuova evangelizzazione´.

Saranno presenti Cardinali e Vescovi assieme a famiglie dei paesi d´Europa.

Come negli anni scorsi il Papa Benedetto XVI da Roma rivolgerà la sua parola all´Assemblea riunita nella piazza di Lima, nell´ Angelus.

Termineremo con la Celebrazione della Messa della Sacra Famiglia di Nazareth, dove pregheremo la Sacra Famiglia per l´Europa, per le famiglie e per una nuova evangelizzazione.

venerdì 2 ottobre 2009

Tre anni dopo, si ritorna a San Pietro, davanti al papa, stavolta per festeggiare i quarant’anni di vita del Cammino Neocatecumenale nella città di Roma e pregare al contempo per il lancio di una nuova iniziativa di evangelizzazione, quella della “comunità in missione”, nuova idea dell’iniziatore Kiko Argüello a trovare realizzazione pratica. Un sabato pomeriggio di preghiera e di festa quello che insieme a Benedetto XVI attende un cospicuo numero di appartenenti al Cammino neocatecumenale. E c’è grande attesa per le prime parole del papa dopo l’approvazione definitiva degli Statuti.Sono passati tre anni da quel primo incontro che il 12 gennaio 2006 (qui la cronaca di allora) andò in scena fra Benedetto XVI e le comunità del Cammino Neocatecumenale: tre anni nel corso dei quali si sono succedute richieste, sorprese, obiezioni, malumori e speranze, poi sfociate nella conclusione del lungo iter di approvazione definitiva degli Statuti del Cammino, finalmente arrivati a destinazione nello scorso mese di giugno. Un percorso difficile e irto di ostacoli, che tre anni fa aveva appena imboccato il lungo rettilineo conclusivo con la consegna ai responsabili del Cammino della (per gli addetti ai lavori ormai celeberrima) lettera sulla liturgia redatta dalla Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti. Una lettera che fu non solo uno dei nodi centrali del discorso che il papa pronunciò durante quell’incontro con le comunità neocatecumenali, ma anche una delle questioni più delicate affrontate in Vaticano, sotto il coordinamento del Pontificio Consiglio per i Laici, nei due anni e mezzo successivi, quelli che hanno poi portato all’approvazione definitiva degli Statuti che in precedenza, nel 2002, avevano ottenuto il via libera solo per un periodo di cinque anni e con la formula ad experimentum. Da questo punto di vista, tre anni dopo tutto è cambiato. Se allora il Cammino si trovava ad affrontare il peso e la responsabilità di realizzare gli adattamenti liturgici richiesti dalla Congregazione e fatti propri dal papa stesso (adattamenti che andavano a complicare ulteriormente il già non agevole percorso verso l’approvazione degli Statuti e aprivano una fase di incertezza sul destino stesso dell’itinerario di formazione iniziato da Kiko), all’inizio del 2009 il clima è senza dubbio più disteso. Il via libera agli Statuti dato dal Pontificio Consiglio per i Laici ha segnato la conclusione di una tappa cruciale e ha costituito un passaggio storico nella vita del Cammino, certamente non l’ultimo (si attendono ancora altri passi importanti, ad iniziare dalla pubblicazione del Direttorio catechetico, cioè l’insieme delle catechesi di Kiko e Carmen Hernandez sulle quali si basa il Cammino) ma indubbiamente il passo preliminare a qualsiasi altro. E se con l’ok agli Statuti non sono certamente svanite le numerose riserve (se non vere e proprie accuse) che in molti ambienti ecclesiastici si sono manifestate negli anni nei confronti del Cammino, è chiaro che la direzione impressa in questo tempo tende a valorizzare il bene che questa esperienza porta con sé, individuandone e tentando di correggerne - al contempo – gli aspetti critici. E in questo ambito giocherà verosimilmente un ruolo anche la recente nomina da parte del papa del cardinale spagnolo Antonio Canizares Llovera a nuovo prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in sostituzione del cardinale Francis Arinze, colui che firmò la lettera del dicembre 2005 e che alcune settimane fa si è congedato dall'incarico per raggiunti limiti di età. Canizares peraltro, secondo quanto riferito dai responsabili del Cammino, dopo aver partecipato recentemente ad una celebrazione eucaristica con gli adattamenti liturgici adottati negli ultimi mesi dalle comunità del Cammino, avrebbe espresso la propria soddisfazione per una celebrazione “senza alcuna fretta, con una fede molto grande e dove si percepisce la gioia e l’azione di grazie per il dono che lì si sta realizzando” e dove non si riscontrerebbe “nessuna anomalia liturgica ma tutto è conforme all’Ordo Missae”, cioè ai libri liturgici approvati dalla Chiesa. Accenti decisamente diversi da quelli che correvano tre anni fa.L’appuntamento di sabato 10 gennaio (ore 17, basilica di San Pietro), secondo quanto fanno sapere i responsabili del Cammino, celebra i quarant’anni del Cammino neocatecumenale nella diocesi del papa e darà l’opportunità di presentare a Benedetto XVI la prima Comunità neocatecumenale nata in Italia, appunto a Roma, nella parrocchia dei Santi Martiri canadesi, nel lontano e tormentato 1968 (si tratta di 49 persone, con circa 100 figli). Nell’occasione verranno presentate al papa anche quattordici altre comunità della capitale (ciascuna formata da 30-60 persone) che hanno finito il percorso neocatecumenale e che, d’accordo con i propri parroci e con il Cardinale vicario, sono ora “pronte a partire come communitates in missionem (comunità in missione) alle zone più difficili e secolarizzate delle periferie di Roma, in aiuto ai parroci”. “E` la prima volta nella storia della Chiesa – afferma una nota del Cammino neocatecumenale - che partono in missione non individui e neppure famiglie ma intere comunità che hanno fatto assieme un lungo percorso di fede”. “Nella Chiesa primitiva – è la spiegazione - il cristianesimo veniva conosciuto non attraverso un tempio o dei riti ma attraverso comunità concrete che davano il segno dell’unità: è quello che Gesù chiede al Padre nella preghiera sacerdotale dell’ultima cena: Che tutti siano uno, come tu, Padre, in me e io in te, che anch' essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.” A Benedetto XVI saranno presentati – fa sapere il Cammino – “anche 14 Missio ad Gentes, richieste da diversi vescovi per inaugurare la Nuova Evangelizzazione in zone secolarizzate di grandi città come Colonia, Budapest, Vienna, Stoccolma, New York, o in zone emarginate come tra gli aborigeni australiani o le Antille. Sette missio andranno in Europa, due in America, tre in Oceania e tre in India. Ogni missio è composta da un presbitero, quattro famiglie con numerosi figli e due sorelle in sostegno alle famiglie, per un totale di 40-50 persone. Queste 14 missio – ricorda ancora il Cammino - si vanno ad aggiungere alle prime sette inviate dal papa nel gennaio 2006 e che sono da due anni in missione a Chemnitz (già Karlmarxstadt, nella ex Germania orientale), nella periferia di Amsterdam e nella Francia meridionale. A San Pietro – continua la nota del Cammino – “arriveranno anche 212 nuove famiglie che con i loro figli (circa 1.000) verranno inviate, in tutto il mondo, per sostenere la implantatio Ecclesiae su richiesta dei vescovi e che si aggiungono alle altre 500 famiglie con 2500 figli già in missione da anni: questa esperienza venne infatti inaugurata nel 1988 da Giovanni Paolo quando volò in elicottero al Centro Neocatecumenale di Porto San Giorgio e, al termine di una intensa celebrazione eucaristica, inviò le prime cento famiglie in missione in tutto il mondo”. Infine, ci saranno anche “i 700 itineranti, che partendo da Roma e da Madrid hanno aperto il Cammino Neocatecumenale in 120 Nazioni dei 5 Continenti e i 18.000 fratelli delle 500 comunità di Roma, presenti in 103 parrocchie con i loro parroci e presbiteri”.Durante l’incontro, al quale si prevede parteciperanno oltre 25mila persone, sarà letto il brano del Vangelo sull’invio dei 72 discepoli e i 14 responsabili delle “Communitates in missionem” riceveranno dal papa la croce della missione, con solenne conclusione con il canto del Te Deum. Prima però, naturalmente, ci sarà il discorso del pontefice, attorno al quale c’è viva curiosità. Benedetto XVI, dopo il discorso del gennaio 2006 e un breve nel corso del 2007, non ha più pronunciato parole riferite direttamente al Cammino neocatecumenale. Quelle che arriveranno, dunque, saranno le prime successive all’approvazione degli Statuti.
(c) Zenit
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giovedì 3 settembre 2009

NOTA STORICA
29/06/2002




A cura di Ezechiele Pasotti

Nel 1964, Francisco (Kiko) Argüello, un pittore nato a León (Spagna), e Carmen Hernández, laureata in chimica e formatasi nell'Istituto Misioneras de Cristo Jesús, si incontrano tra i baraccati di Palomeras Altas, alla periferia di Madrid. Dopo tre anni, in questo ambiente composto soprattutto da poveri, si forma una sintesi kerigmatico-catechetica che, sostenuta dalla Parola di Dio, dalla Liturgia e dall'esperienza comunitaria, e sulla scia del Concilio Vaticano II, diventerà la base di ciò che il Cammino Neocatecumenale porterà in tutto il mondo.

Dalle baracche l'esperienza passa presto ad alcune parrocchie di Madrid e di Zamora. Nel confronto, al quale fu sottomessa la sintesi kerigmatico-catechetica formatasi tra i baraccati di Palomeras Altas, presto si vide come nelle parrocchie soprattutto benestanti le catechesi erano usate per "sopravvestirsi", come conferenze, non come un cammino di conversione e di "kenosis", dove far morire a poco a poco l'uomo vecchio, per poter essere rivestiti della nuova creazione nello Spirito Santo.

Così gradualmente venne apparendo il Battesimo, come cammino da percorrere per arrivare a una fede adulta, capace di rispondere ai cambiamenti sociali che si stavano verificando.

Ben presto apparve la necessità di fare una prima riflessione sull'esperienza di ciò che stava accadendo, di ciò che il Signore stava compiendo in quelle comunità. Nell'aprile del 1970, a Majadahonda, nei pressi di Madrid, gli iniziatori del Cammino, Kiko e Carmen, insieme ai responsabili, presbiteri e qualche parroco delle prime comunità esistenti, si riunirono per fare una prima riflessione su ciò che lo Spirito Santo stava attuando in mezzo a loro. Si preparò un questionario con una domanda base: Che cosa sono queste comunità che stanno sorgendo nelle parrocchie?

Dopo tre giorni di preghiera e di lavoro si giunse, all'unanimità, a questa riposta:

Che cos'è la Comunità

- La comunità è la Chiesa: che è il Corpo visibile del Cristo risorto. Nasce dall'annuncio della "Buona Novella" che è Cristo, vincitore in noi di tutto quello che ci uccide e distrugge.

- Questo annuncio è apostolico: unità e dipendenza dal Vescovo, garanzia della verità e della universalità.

- Siamo chiamati da Dio a essere sacramento di salvezza all'interno dell'attuale struttura parrocchiale; inizia un cammino verso la fede adulta, attraverso un Catecumenato vissuto mediante il tripode: Parola di Dio, Liturgia e Comunità.

Missione di queste comunità nell'attuale struttura delle Chiese

- Rendere visibile un nuovo modo di vivere oggi il Vangelo, tenendo presente le profonde esigenze dell'uomo e il momento storico della Chiesa.

- Aprire un cammino. Chiamare a conversione.

- Non si impongono. Sentono il dovere di non distruggere niente, di rispettare tutto, presentando il frutto di una Chiesa che si rinnova e che dice ai suoi Padri che sono stati fecondi, perché da essi sono nate.

Come si realizza questa missione

- Queste comunità sono nate e desiderano rimanere dentro la Parrocchia, con il Parroco, per dare i segni della fede: l'amore e l'unità. "Amatevi l'un l'altro come io ho amato voi. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli" (Gv 13,34-35). "Padre, io in essi e tu in me; affinché siano perfettamente uno e il mondo sappia che tu mi hai mandato" (Gv 17,23). L'amore nella dimensione della Croce e l'unità sono i segni che creano gli interrogativi necessari perché si possa annunciare Gesù Cristo (...).

Al termine della convivenza venne l'allora Arcivescovo di Madrid, che già aveva conosciuto l'esperienza delle baracche e aveva invitato a portarla nelle parrocchie. Gli venne letta la riflessione maturata durante l'incontro. L'Arcivescovo, dopo averla ascoltata, esordì dicendo: "Se l'avessi scritta io, sarebbe la pagina più bella della mia vita".

Alcuni anni più tardi, quando il Cammino era già diffuso in molte parrocchie di Roma e in varie diocesi d'Italia, gli iniziatori furono chiamati dalla Congregazione del Culto divino, perché volevano sapere in che cosa consisteva quell'itinerario di riscoperta del Battesimo e i riti che facevamo. L'allora Segretario della Congregazione, Mons. Annibale Bugnini, e il gruppo di esperti che erano con lui, rimasero enormemente impressionati nel vedere che ciò che stavano elaborando da alcuni anni sul catecumenato per gli adulti - e che presto sarebbe stato pubblicato come "Ordo Initiationis Christianae Adultorum" (OICA) -, lo Spirito Santo, partendo dai poveri, lo stava già mettendo in opera. Dopo due anni di studio di ciò che le comunità facevano, pubblicarono nella rivista ufficiale della Congregazione (Notitiae), in latino, per tutta la Chiesa, una nota laudatoria: "Praeclarum exemplar" dell'opera che stava svolgendo il Cammino neocatecumenale . Con loro si concordò il nome da dare al Cammino: "Neocatecumenato", come itinerario di formazione cristiana post-battesimale che segue le indicazioni proposte nel Capitolo IV dello stesso Ordo. In esso si dice infatti che alcuni riti per i non battezzati, proposti dall'OICA possano essere adattati anche a coloro che sono già battezzati, ma non sufficientemente catechizzati.

Insieme a questi momenti salienti della storia del Cammino, va ricordata la caratteristica di fondo che lo costituisce e che lo Statuto riconosce: la possibilità di vivere la vita cristiana in comunità, recuperando il modello ecclesiale dei primi secoli.

Il Cammino neocatecumenale si è proposto, sin dal suo sorgere, come un cammino di iniziazione alla fede: non è una spiritualità particolare, ma un cammino di gestazione, "un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni" (Giovanni Paolo II, Lettera "Ogniqualvolta").

È un processo di maturazione alla fede che ricostruisce la comunità cristiana: e questa diventa segno per il mondo, resiste al processo di secolarizzazione. In questo cammino di fede verso la radicalità del proprio Battesimo diventa centrale la comunità cristiana e, come nucleo fondamentale di essa, la famiglia. È in seno ad una comunità cristiana concreta che si fa, in prima persona, un'esperienza viva e diretta della vita cristiana. Si riceve una parola, che si fa liturgia, che cresce, poco a poco, in koinonia, in comunità. Dio stesso è comunità di persone.

Molti sono stati i doni dello Spirito che hanno caratterizzato lo sviluppo del Cammino, in particolare i Catechisti itineranti, le Famiglie in missione, i Seminari "Redemptoris Mater".

Vari Vescovi, preoccupati per la situazione di secolarizzazione presente in tante parrocchie, vedendo che in quelle parrocchie dove era nato il Cammino Neocatecumenale si costituivano delle piccole comunità vive, piene di lontani, hanno sollecitato di poter aprire lo stesso percorso di iniziazione cristiana, chiedendo catechisti da altre città e nazioni. Ciò ha dato luogo alla nascita dei Catechisti itineranti. Negli incontri dei catechisti si espongono queste richieste dei Vescovi e si invitano liberamente coloro che si sentono chiamati partire per annunziare il Vangelo a rendersi disponibili a tale missione, in base al mandato del proprio battesimo. Appare così di nuovo un modello di Chiesa primitiva evangelizzata da apostoli e catechisti itineranti, senza che questi formino nessun gruppo particolare. Essi restano inseriti nelle proprie comunità e parrocchie, dalle quali partono e alle quali ritornano periodicamente.

Così, a poco a poco, attraverso l'esperienza e in tante convivenze di formazione, si sono costituite équipes itineranti di evangelizzazione, formate da donne e uomini celibi, o da coppie, e da un sacerdote che ottiene il permesso dal proprio Vescovo o dal proprio Superiore religioso. Esse vanno durante un tempo in un'altra diocesi, d'accordo con il Vescovo che li chiama, ad aprire il Cammino Neocatecumenale nelle parrocchie. Detta struttura di evangelizzazione, come un'impalcatura, è coordinata dall'Équipe responsabile del Cammino Neocatecumenale, composta dagli iniziatori, Kiko e Carmen, e da un presbitero, Padre Mario Pezzi. Così, nell'arco di questi anni, il Cammino si è esteso nei 5 continenti.

Di fronte alla situazione del Nord Europa, dove la secolarizzazione dura ormai da molti anni, la Chiesa si va riducendo e si trova in una situazione di debolezza estrema - soprattutto è distrutta la famiglia -, ispirati dalle parola del Santo Padre, Kiko e Carmen hanno visto la necessità di inviare famiglie in missione, sia per fondare la chiesa in alcune zone di "terra nullius", come una "implantatio Ecclesiae", sia per aiutare a rafforzare le comunità esistenti con famiglie che mostrino il volto di una "famiglia cristiana".

Anche nell'America del Sud, a causa dell'enorme emigrazione dalle campagne verso le periferie delle grandi città e della scarsità del clero per aprire nuove parrocchie, questi enormi agglomerati urbani sono preda delle sette. I vescovi, vista la forza di evangelizzazione che ha il Cammino, hanno chiesto l'invio di famiglie in questi centri periferici, spesso baraccopoli immense, per formare nuclei di evangelizzazione che possano contenere le sette, formando piccole comunità, nell'attesa di poter inviare un presbitero e fondare nuove parrocchie.

Tutto ciò ha fatto sì che il Santo Padre Giovanni Paolo II nell'anno 1988 inviasse le prime cento famiglie in molte Diocesi, i cui Vescovi ne avevano fatto richiesta.

Queste famiglie, che restano unite alla propria comunità neocatecumenale, inserita nella parrocchia, sono sostenute dalla stessa comunità e dalla parrocchia per ciò che si riferisce a spese di viaggi, affitto delle case, costruzione di nuove chiese, sostegno morale, lettere, preghiere, ecc. Nasce così una proficua collaborazione fra comunità, parrocchia e missione.

Dall'opera di evangelizzazione, iniziata dalle famiglie in diverse zone, è apparsa ben presto la necessità di presbiteri che sostenessero le nuove comunità appena formate e con cui si potessero costituire eventuali nuove parrocchie.

In questo contesto sono nati i Seminari "Redemptoris Mater": grazie alla visione profetica degli iniziatori del Cammino, al coraggio del Papa Giovanni Paolo II e allo slancio missionario delle famiglie in missione, quasi tutte con molti figli. Fondamentale per la rievangelizzazione e formazione di nuove parrocchie è stata proprio la testimonianza di fede dei figli di queste famiglie.

Questi Seminari sono diocesani, eretti dai Vescovi, in accordo con l'Équipe Responsabile internazionale del Cammino, e si reggono secondo le norme vigenti per la formazione e l'incardinazione dei chierici diocesani; sono missionari: i presbiteri che in essi vengono formati, sono disponibili ad essere inviati dal Vescovo in ogni parte del mondo; sono internazionali: i seminaristi provengono da paesi e continenti diversi, sia come segno concreto della cattolicità, sia come segno di disponibilità ad essere mandati ovunque.

Ma il dato più significativo di questi Seminari è che essi, da un parte, sono un dono che aiuta le Diocesi ad aprirsi alla missionarietà, ad andare in tutto il mondo e, dall'altra, trovano nel Cammino Neocatecumenale, un sostegno che accompagna i seminaristi durante il tempo della loro preparazione e, divenuti presbiteri, continua a sostenerli nella formazione permanente
LE ORIGINI DEL
CAMMINO NEOCATECUMENALE

Nasce tra i poveri
come frutto del Concilio Vaticano II




Estratto dalla testimonianza di Kiko




...Avevo uno studio di pittore vicino a Plaza de España a Madrid, ed ero solito passare le feste natalizie con i miei genitori. Un anno andai a casa per celebrare il Natale, entrai in cucina e vidi la cuoca che stava piangendo. Io le domando: "Berta - così si chiamava - che le succede?" E lei mi dice che il marito è un ubriacone, che vuole uccidere il figlio, che il figlio gli si è ribellato contro... Mi raccontò una storia che mi lasciò allibito. E sentii da Dio di aiutarla.

Andai a vedere dove viveva: una baracca orribile, in mezzo a tante altre. La povera donna si alzava prestissimo, per andare a lavorare; aveva nove figli, ed era sposata con un uomo zoppo e strabico, sempre ubriaco. Picchiava i figli con un bastone, gridando loro: "Difendi tuo padre" e, a volte ubriaco fradicio, urinava sopra le figlie. Questa donna, abbastanza bella benché in età, mi raccontò cose allucinanti.

Presi quell'uomo e lo portai a fare un "Cursillo de Cristiandad". Rimase impressionatissimo nell'ascoltarmi parlare. Per alcuni mesi smise di bere, ma poi ricominciò e furono di nuovo macelli. La moglie mi chiamava: "Signor Kiko, venga per favore, perché mio marito vuole uccidere tutti. Chiami la polizia!". Non mi lasciavano vivere. Alla fine pensai: "E se Dio mi stesse dicendo di lasciare tutto e di andare a vivere lì per aiutarli?". Lasciai tutto e andai a vivere con quella famiglia. Dormivo in una piccolissima cucina, che era piena di gatti.

Ho vissuto lì e sono rimasto molto impressionato, vi dico la verità, di tutto l'ambiente. C'era moltissima gente che stava vivendo in situazioni terribili. Non so se conoscete il libro di Camus, "La peste", che affronta il problema della sofferenza degli innocenti. Quella donna, Berta, mi raccontò che suo marito, zoppo, per vendicarsi delle tante umiliazioni ricevute, aveva detto a tutti che si sarebbe sposato con lei, che era la ragazza più bella del quartiere. Tutti ridevano di lui. Ma sapete come lui se l'era sposata? Puntandole un coltello al collo e dicendole: "Se non ti sposi con me, taglio la gola a tuo padre". E lo avrebbe fatto. Suo padre era vedovo e lei era sola e terribilmente timida e paurosa.

Mi chiesi: che peccati ha commesso questa povera donna per meritare una vita cosi? Perché non io? E non c'era solo lei. C'era un'altra donna vicino che aveva il morbo di Parkinson, il marito l'aveva abbandonata e viveva chiedendo l'elemosina. E un altro. E un altro ancora.

Davanti a tutto questo ci sono solo due risposte. Conoscete la frase famosa di Nietzsche: "O Dio è buono e non può far nulla per aiutare questa povera gente, o Dio può aiutarli e non lo fa, e allora è cattivo". Questa frase è velenosa. Può Dio aiutare questa donna, oppure no? Perché non lo fa?

In questa situazione ebbi una sorpresa. Sapete cosa vidi lì? Non quello che dice Nietzsche, se Dio può o non può, ma vidi Cristo crocifisso. Ho visto Cristo in Berta, in quella donna con il Parkinson, in quell'altro. Vidi un mistero. Il mistero della croce di Cristo. Restai enormemente sorpreso, lo dico sinceramente.

Poi mi chiamarono per il servizio militare e mi mandarono in Africa. Quando tornai dissi a me stesso: se domani torna Cristo sulla terra nella sua seconda venuta, io non so che cosa succederà in questo mondo, ma sapete dove desidero che Gesù Cristo mi trovi? Ai piedi di Cristo crocifisso. E dov'è Cristo crocifisso? In coloro che stanno portando la sofferenza più grande, le conseguenze del peccato di tutti. Dice Sartre: "Guai all'uomo che il dito di Dio schiacci contro il muro". Io ho visto lì gente schiacciata contro il muro, tanti deboli schiacciati dalle conseguenze del peccato, deboli, anonimi cirenei.

Quando uno va a vivere tra i poveri, o perde la fede e diventa guerrigliero alla "Che Guevara" o si mette in silenzio davanti a Cristo e si santifica. Io sono grato al Signore per aver avuto pietà di me: io vidi lì Cristo crocifisso e così quando tornai dall'Africa, e conobbi la sorella di Carmen, pensai che era necessario scendere nelle catacombe sociali e lì predicare il Vangelo a questa gente, aiutarli, dare loro una parola di consolazione. E così formammo un gruppo che si dedicava agli omosessuali, alle prostitute e agli altri emarginati.

La sorella di Carmen faceva parte di una associazione, chiamata "Villa Teresita", che si dedicava al recupero delle prostitute. Andavano per le case delle prostitute e offrivano, a quelle che lo volevano, un lavoro. Un'opera molto buona. Alla fine io mi resi conto che in quel gruppo facevamo tutto un po' per "hobby". Io dissi a quel gruppo e alla sorella di Carmen: "Io me ne vado a vivere tra i poveri".

Charles de Foucauld mi diede la formula: vivere in silenzio, come Gesù a Nazareth, ai piedi di Gesù Cristo in mezzo a quella gente. Conobbi un assistente sociale che mi indicò una zona di Palomeras Altas dove c'era una baracca di tavole di legno, rifugio di cani. Mi disse "Mettiti lì e non ti preoccupare". E lì ha avuto inizio un po' tutto. Nelle baracche io volevo vivere come Charles de Foucauld, in contemplazione: così come uno sta davanti all'Eucaristia, ai piedi della presenza reale, unica di Cristo; io volevo stare ai piedi di Cristo crocifisso, nella gente più povera, miserabile.

Il Signore mi portò lì con questo spirito: io ero l'ultimo. Loro erano Cristo. Forse uno avrebbe potuto dirmi: "Kiko! Aiutali". Qui c'è un punto molto importante per coloro che sanno andare al fondo delle cose. "Ma come? Ti metti in adorazione, quando questa gente è morta di fame? Dà loro da mangiare". Io non avevo nulla, non avevo portato altro che una Bibbia e una chitarra, dormivo su un materasso messo sulla nuda terra. Non avevo altro.

Avevo letto in un libro qualcosa che mi aveva colpito molto del tempo dei nazisti. Si raccontava un fatto storico avvenuto nel campo di concentramento di Auschwitz. Un capo della Gestapo si era reso conto delle atrocità che si stavano commettendo nel genocidio degli ebrei. Un giorno, durante un'ispezione in un campo, vide passare una colonna di uomini e donne diretta alle camere a gas, tutti nudi. Sentì nel suo cuore un grande dolore. Si domandò: "Che devo fare io adesso per aiutarli, per avere pace con me stesso?". sapete la risposta che ricevette dal di dentro? (I Padri della Chiesa parlano del Cristo parlante, dentro di te. È qualcosa di molto profondo). Il libro raccontava che quello che sentì che avrebbe dovuto fare era di denudarsi anche lui e mettersi in fila con loro.

Possiamo domandarci: questa voce che sentì dentro da dove veniva? Era una suggestione? Era reale? Era di Dio? Non era meglio fermare la comitiva e liberare quelle persone? Forse non lo poteva fare. Perché invece la verità era quella di denudarsi e di mettersi in fila? Ecco una possibile risposta: una persona che sta in quella fila sta di fronte al dramma che forse non c'è nessun Dio, che non c'è amore nel mondo e se non c'è amore nel mondo Dio non esiste, la vita è una mostruosità, moriamo nell'assurdo. Ma se uno viene con te, Cristo stesso si fa uomo e si mette con te nella fila per amore. Allora l'amore esiste. Esiste Dio. Si può vivere. Si può morire. La verità e la morte hanno un senso.

Questo ha valore? Ciò che si deve fare è solo l'aiuto sociale? Forse l'uomo è solo mangiare? O l'uomo ha bisogno di sapere se Dio esiste o non esiste, se l'amore esiste oppure no? Io non andai nelle baracche per dare da mangiare, né per insegnare a leggere. (Erano tutti analfabeti, ad eccezione di uno o due: José Agudo, che era stato in un istituto di correzione sapeva leggere, ma sua moglie no. Zingari, "quinquis", ragazzi del carcere sapevano leggere a malapena). Me ne andai lì e, se volete sapere, neanche pensavo di predicare, sapete infatti che i Piccoli Fratelli di Foucauld stanno "in silenzio". Volevo dare testimonianza vivendo in mezzo ad essi come Gesù a Nazareth.

E che successe? Quello che sempre succede. Il vicino, un giorno che faceva un freddo cane, perché era inverno e nevicava - io mi scaldavo con dei cani randagi che vivevano con me - entrò all'improvviso e mi disse: "Ti ho portato un braciere perché stai morendo di freddo!".

Poco a poco si avvicinavano e domandavano: "Chi è costui che sta qui, con barba e chitarra?". Per alcuni ero uno che aveva fatto un voto, per altri un protestante, perché portavo sempre la Bibbia. Gli zingari venivano per la chitarra... Non sapevano chi ero. José Agudo, che allora era in lite con un altro clan di "quinquis", mi si avvicinò per domandarmi cosa diceva il Vangelo sul fatto di picchiarsi. Io gli lessi il Discorso della Montagna che dice di non resistere al male e restò a bocca aperta: "Come? Ma se non mi difendo mi ammazza! Che devo fare?". Gli diedi da leggere i "Fioretti" di San Francesco che lo impressionarono molto e non mi lasciò più.

Bene, non mi metto a raccontarvi queste storie perché diventerebbe troppo lungo...

Dall'esperienza di Carmen

... Quello che volevo dire è questo: Kiko aveva radicato molto fortemente il Servo di Jahweh, quello che io ho portato lì, su un vassoio, non certo per me, non era mio, fu il Concilio Vaticano II, la Pasqua e la Risurrezzione dei morti. Il primo canto che Kiko fece nelle baracche fu il "Servo di Jahweh"; ci vollero due anni per giungere al "Risuscitò" per farlo entrare nel dinamismo della Pasqua.

E la Pasqua non me la sono inventata io, e tantomeno P. Farnès, ma è stata frutto dell'immenso lavoro di tutto il Movimento liturgico e di tutto il Movimento Biblico che hanno fermentato il Concilio e che si è messo in marcia nel Concilio.

Io stavo sempre con Kiko, però non mi fidavo di lui, nemmeno un pò. Solo mi convinse il giorno che arrivò lì l'arcivescovo di Madrid, Mons. Morcillo, e questo fu un altro miracolo che sarebbe interessante raccontare. Allora cominciai a collaborare con Kiko, fidandomi di più di lui, quando vidi la Chiesa presente.

Mons. Morcillo fu un autentico dono di Dio. Egli ci mandò nelle parrocchie ...
LA RISCOPERTA DEL CATECUMENATO
E L'APPROVAZIONE DEL
CAMMINO NEOCATECUMENALE
Per capire il significato dell’approvazione dello Statuto del Cammino Neocatecumenale è necessario ripercorrere alcune tappe storiche fondamentali che l’hanno preceduta.


1. Wojtyla e la riscoperta del catecumenato


Karol Woytila, per la sua esperienza personale della dittatura nazista e poi di quella comunista, vede la Chiesa circondata da una nuova ondata di paganesimo espresso dalle ideologie totalitarie del XX secolo. In molti discorsi o atti del suo pontificato risuona la memoria storica di quella apocalisse realizzata, sperimentata nella sua persona, che fu la tragedia della seconda guerra mondiale, i lager, i gulag, i milioni di morti, le terribili ingiustizie.


"Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni".


La Chiesa e i cristiani sono chiamati a rispondere al pericolo di una nuova barbarie molto più grave di quella antica. Per Woytila rievangelizzare significa allontanare lo spettro di una nuova apocalisse che rischia di distruggere l’uomo e la società.

Per la sua formazione filosofica, egli è attento ai fenomeni reali e quindi al fatto che la fede cristiana, deve esprimere un nuovo tipo di vita, un nuovo modo di amare, e di essere liberi, non solo un credo religioso. Al centro del pontificato di Giovanni Paolo II vi è la visione di una Chiesa che, lasciato alle spalle ogni trionfalismo, anima una spinta evangelizzatrice, la nuova evangelizzazione, per rievangelizzare paesi tradizionalmente cristiani ma che stanno ripiombando nel paganesimo.

Nel 1952, Wojtyla, giovane sacerdote, scrisse un articolo straordinario per attualità, "Catecumenato del ventesimo secolo". Riflettendo sulla Veglia Pasquale, egli esamina i segni che esprimono la resurrezione di Cristo: la luce, che rifulge dalla risurrezione e permette di contemplare la nuova vita, e l’acqua, il passaggio del mar Rosso, simbolo del passaggio dalla morte alla vita. Per questo al centro di la notte vi è il battesimo, che è l’offerta di un cambiamento di natura, preparato dal catecumenato:

"…questa notte i catecumeni devono nascere di nuovo….può forse nascere di nuovo chi già è vivo? Può forse esistere una vita con cui non si è vissuti fino a quel momento?…Poiché credere nel Dio che Cristo annuncia come suo Padre… non è solo credere, ma nascere di nuovo…; sappiamo che …aderiamo non solo ad una confessione, ad una religione, ma che riceviamo una nuova vita…".

Uno dei padri conciliari che più contribuì alla riscoperta dell’iniziazione cristiana, e quindi del catecumenato, fu un giovane vescovo polacco, allora ausiliare di Cracovia, Karol Wojtyla. Nel suo intervento in aula conciliare nel 1962, nella discussione sul testo della costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia, Wojtyla sostenne delle tesi che a quell’epoca erano rivoluzionarie:


"L’iniziazione cristiana non si fa solo con il battesimo, ma attraverso un catecumenato durante il quale la persona adulta si prepara a condurre la sua vita da cristiano.

E’ perciò evidente che l’iniziazione è qualcosa di più che la sola ricezione del battesimo".


Per Wojtyla, questa riscoperta del catecumenato che ampliava il concetto tradizionale della iniziazione cristiana era della

"…massima importanza sopratutto nella nostra epoca, quando anche le persone già battezzate non sono sufficientemente iniziate alla completa verità della vita cristiana".

Pur testimone della fede della Chiesa polacca, Woytila vedeva però con chiarezza la fragilità della "cristianità" di fronte alla secolarizzazione ed all’apostasia dell’uomo moderno.


"Certamente noi oggi, nei Paesi della vecchia cristianità, soprattutto nei Paesi dell'Europa, avvertiamo l'esaurimento del nostro cristianesimo interno, di quello che dovrebbe essere il frutto del nostro battesimo.

Stiamo vivendo in un periodo di scristianizzazione; sembra che i credenti, i battezzati di una volta, non siano sufficientemente maturi per opporsi alla secolarizzazione, alle ideologie che sono contrarie non solo alla Chiesa, alla religione cattolica, ma sono contrarie alla religione in genere, sono ateistiche, anzi antiteistiche".


Wojtyla sottolineava quindi due aspetti profondamente nuovi:

1. che il catecumenato non era solo una catechesi dottrinale, (come per lo più veniva vista la preparazione al battesimo in quel tempo), ma un processo esistenziale di inserimento nella nuova natura di Cristo.

2. che il catecumenato, cioè il processo che preparava al battesimo, era tanto essenziale al processo di iniziazione quanto il sacramento vero e proprio.

Analizzando la Chiesa primitiva Wojtyla riscontra quindi che al centro dell’evangelizzazione c’era il catecumenato. Proprio perché si trova di nuovo in un mondo pagano, la Chiesa deve recuperare il catecumenato che nella Chiesa primitiva era il perno dell’evangelizzazione.


2. La reintroduzione del processo neocatecumenale anche per i battezzati


Al termine del dibattito conciliare sulla Costituzione per la Liturgia, una delle decisioni più importanti del Concilio fu proprio quella, forse poco notata all’epoca, di reintrodurre il catecumenato per gli adulti, come processo per ricevere gradualmente una vita nuova (Sacrosanctum Concilium n. 64). Questa decisione portò alcuni anni dopo, nel 1972, alla promulgazione dell’Ordo Initiationis Christianae Adultorum (OICA), cioè dell’Ordo, o schema, che regola il processo d’iniziazione per il battesimo degli adulti.

Il capitolo IV dell’OICA propone anche l’utilizzazione di alcuni riti, propri del catecumenato, per la catechesi di adulti battezzati ma non sufficientemente catechizzati.

Negli anni successivi questo punto, ancora marginale, cominciò a prendere sempre più importanza nei documenti magisteriali.

Paolo VI nel 1975, nella Esortazione. Apostolica. Evangelii Nuntiandi, al paragrafo 44: aveva concluso:


«È ormai palese che le condizioni odierne rendono sempre più urgente che l’istruzione catechetica venga data sotto forma di un catecumenato».


Successivamente, nel 1979, Giovanni Paolo II, nell’Esortazione. Apostolica. Catechesi Tradendæ, al paragrafo 44, aveva detto:


«La nostra preoccupazione pastorale e missionaria… va a coloro che, pur essendo nati in un paese cristiano, anzi in un contesto sociologicamente cristiano, non sono mai stati educati nella loro fede e, come adulti, sono dei veri catecumeni».


Infine il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato nell’anno 1992, all’articolo 1231 ha esplicitamente formulato la necessità di un catecumenato postbattesimale per ogni battezzato:


«Per la sua stessa natura il Battesimo dei bambini richiede un catecumenato post-battesimale. Non si tratta soltanto della necessità di un’istruzione posteriore al Battesimo, ma del necessario sviluppo della grazia battesimale nella crescita della persona».


In pochi anni si è passati dal Capitolo IV dell’OICA, che suggeriva solo una possibilità di usare alcune parti del catecumenato per adulti già battezzati ma non sufficientemente catechizzati, ad una formulazione che propone per tutti i battezzati da bambini la necessità di un catecumenato postbattesimale.

Non solo il magistero ha accolto le idee espresse da Woytila da giovane prete e poi in aula conciliare, ma la reintroduzione del catecumenato per i battezzati ha portato a formulare la necessità che i cristiani già battezzati riscoprano la fede attraverso un itinerario catecumenale, in modo da essere in grado di rispondere alla sfide attuali.

Così un documento che reintroduceva un processo dimenticato da secoli per il battesimo dei pagani, è finito per diventare centrale nella vita dei battezzati.


3. Il Cammino Neocatecumenale, frutto del Concilio Vaticano II


Mentre Wojtyla ed il Concilio e, successivamente, il magistero, riscoprivano la centralità del catecumenato nel processo di evangelizzazione dei non battezzati e, gradualmente, anche dei battezzati, in una baraccopoli alla periferia di Madrid si stava sviluppando un’esperienza concreta di catecumenato postbattesimale, grazie all’incontro tra Kiko Argüello e Carmen Hernández.

Kiko Argüello, un pittore spagnolo, dopo una crisi esistenziale e la sua conversione, aveva scoperto nella sofferenza degli innocenti il mistero di Cristo crocifisso, presente negli ultimi della terra: questo lo portò a lasciare tutto e, seguendo le orme di Charles de Foucauld, ad andare a vivere tra i poveri delle baracche di "Palomeras Altas", alla periferia di Madrid.

Carmen Hernández, spagnola, laureata in chimica, era stata a contatto con il rinnovamento del Concilio Vaticano II, attraverso Mons. P. Farnés Scherer (liturgista). Anch’essa era andata a vivere nelle baracche di "Palomeras Altas" , dove stava cercando di costituire un gruppo per andare ad evangelizzare i minatori di Oruro (Bolivia), e dove conobbe Kiko Argüello.

Il temperamento artistico di Kiko, la sua esperienza esistenziale, la sua formazione come catechista di "Cursillos de Cristianidad", lo slancio di evangelizzazione di Carmen, formata nell’Istituto "Misioneras de Cristo Jesús", la sua preparazione teologica (licenziata in Teologia), e la sua conoscenza del Mistero pasquale e della rinnovazione liturgica del Concilio, e l’ambiente dei più poveri della terra costituirono quell’"humus", quel "laboratorio" che diede luogo ad una sintesi kerigmatico-teologico-catechetica che divenne la colonna vertebrale di questo processo di evangelizzazione degli adulti, qual è il Cammino Neocatecumenale.

Dalla loro collaborazione cominciò a prendere forma un itinerario di formazione di tipo catecumenale.

Questa riscoperta di un modo concreto di fare un catecumenato postbattesimale venne in contatto con la gerarchia, dapprima con l’arcivescovo di Madrid, Mons. Casimiro Morcillo, che, venendo alle baracche, costatò l’azione dello Spirito Santo e lo benedisse, vedendo in esso una attuazione del Concilio a cui aveva partecipato come uno dei segretari generali

Successivamente, nel 1972, il neocatecumenato venne studiato a fondo proprio dalla Congregazione per il Culto Divino, che stava per pubblicare l’OICA.

L’allora Segretario della Congregazione, Mons. Annibale Bugnini, e il gruppo di esperti che erano con lui, rimasero impressionati nel vedere che ciò che stavano elaborando da alcuni anni sul catecumenato per gli adulti , lo Spirito Santo, partendo dai poveri, lo stava già mettendo in opera. Dopo due anni di studio della prassi liturgico –catechetica del Cammino Neocatecumenale, pubblicarono su Notitiae, la rivista ufficiale della Congregazione, una nota laudatoria dell’opera che stava svolgendo il Cammino neocatecumenale nelle parrocchie, riconoscendo nel Cammino un dono dello Spirito Santo per attuare il Concilio. Con la Congregazione si concordò il nome: "Neocatecumenato", o Cammino Neocatecumenale.

Nel 1974, a dieci anni dalla nascita del Cammino, il Papa Paolo VI riceveva in udienza Kiko, Carmen e Padre Mario con i Parroci e i catechisti, radunati a Roma e, di fronte ad alcune accuse che insinuavano sospetti di anabattismo o di voler ripetere il, battesimo il papa replicava con grande forza e chiarezza:


"...Vivere e promuovere questo risveglio è quanto voi chiamate una forma di ‘dopo il battesimo’ che potrà rinnovare nelle odierne comunità cristiane quegli effetti di maturità e di approfondimento che nella Chiesa primitiva erano realizzati dal periodo di preparazione prima del Battesimo. Voi lo portate dopo: il prima o dopo, direi, è secondario. Il fatto è che voi mirate all’autenticità, alla pienezza, alla coerenza, alla sincerità della vita cristiana. E questo è merito grandissimo, ripeto, che ci consola enormemente...".

4. L’incontro di Giovanni Paolo II con Kiko e Carmen


Il 5 settembre 1979, Giovanni Paolo II, da poco eletto al pontificato, incontrò per la prima volta personalmente Kiko, Carmen e Padre Mario, e li invitò alla Messa da lui celebrata a Castel Gandolfo.

L’incontro con Kiko e Carmen rappresentò per il Papa una risposta concreta alla sua intuizione sulla centralità del catecumenato per la nuova evangelizzazione: dopo la messa, egli disse che, durante la celebrazione, pensando a loro, aveva visto Ateismo-Battesimo-Catecumenato, esprimendo la convinzione che di fronte all’ateismo, il battesimo ha bisogno di essere riscoperto attraverso un catecumenato.

Il 2 novembre 1980, si svolse il primo incontro pubblico di Giovanni Paolo II con Kiko, Carmen e Padre Mario, nelle parrocchia romana dei Martiri Canadesi che era stata la prima in Italia dove 12 anni prima si era aperto il Cammino Neocatecumenale. Parlando alle comunità neocatecumenali, il Papa disse:


"Viviamo in un periodo di un confronto radicale che si impone dappertutto ...fede e antifede, Vangelo e antivangelo, Chiesa e antichiesa, Dio e antidio, …non può esistere un antidio, ma si può creare nell'uomo la negazione radicale di Dio … In questa nostra epoca abbiamo bisogno di riscoprire una fede radicale, radicalmente compresa, radicalmente vissuta e radicalmente realizzata. …lo spero che la vostra esperienza sia nata in tale prospettiva e possa guidare verso una sana radicalizzazione del nostro cristianesimo, della nostra fede, verso un autentico radicalismo evangelico".


Il 31 gennaio 1988, incontrando le comunità neocatecumenali della parrocchia di Santa Maria Goretti, Giovanni Paolo II formulò con ancora maggior precisione l’importanza per la Chiesa del neocatecumenato:

"Attraverso il vostro cammino e le vostre esperienze si vede quale tesoro per la Chiesa sia stato proprio il catecumenato come metodo di preparazione al battesimo.

Quando noi studiamo il battesimo, .. vediamo più chiaramente che la pratica al giorno di oggi è divenuta sempre più insufficiente, superficiale. …senza il catecumenato previo, questa pratica diventa insufficiente, inadeguata a quel grande mistero della fede e dell'amore di Dio che è il Sacramento del Battesimo:

… Io vedo così la genesi del neocatecumenato: uno - non so se Kiko o altri - si è interrogato: da dove veniva la forza della Chiesa primitiva? e da dove viene la debolezza della Chiesa, molto più numerosa, di oggi? E io credo che abbia trovato la risposta nel catecumenato, in questo cammino…

…C'è un modo, io penso, di ricostruire la parrocchia basandosi sull'esperienza neocatecumenale".

Non vogliamo qui percorrere tutte le tappe storiche che hanno portato alla approvazione dello Statuto, che si possono seguire nella Nota Storica e nelle Osservazioni Canoniche: in particolare la lettera Ogniqualvolta con cui il 30 agosto 1990, il Santo Padre riconobbe ufficialmente il cammino come un itinerario di formazione cattolica.

Preme qui soltanto sottolineare come l’approvazione degli statuti sia il compimento di un lungo processo che ha portato il magistero della Chiesa a vedere sempre più la necessità di rievangelizzare i battezzati e a riconoscere nel Cammino Neocatecumenale uno strumento idoneo a tale fine. Mancava però fino ad oggi uno schema che potesse proporsi per attuare un catecumenato post-battesimale.

Questo è quello che ha fatto la Santa Sede con questa decisione: approvare e offrire uno schema di itinerario catecumenale postbattesimale, composto però non solo di tappe liturgiche, ma integrato anche da un contenuto catechetico che in più di trent’anni ha dato moltissimi frutti. Il riconoscimento del cammino neocatecumenale è dunque una delle attuazioni concrete delle indicazioni del magistero e il compimento di una delle esigenze più sentite da Giovanni Paolo II.


Giuseppe Gennarini
Approvazione definitiva dello Statuto del Cammino Neocatecumenale
Annotazioni canoniche
di Mons. Juan Ignacio Arrieta
Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi
Già Preside dell’Istituto di Diritto Canonico san Pio X di Venezia

La Santa Sede ha approvato in modo definitivo lo Statuto giuridico del Cammino Neocatecumenale. Con la consegna formale del decreto di approvazione da parte del Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici agli iniziatori del Cammino, Kiko Argüello e Carmen Hernández, e al Padre Mario Pezzi, si è concluso nella mattinata del 13 giugno 2008 l’iter giuridico avviato sei anni fa quando venne approvato ad experimentum il testo degli Statuti. Alcuni mesi prima, il Consiglio per i Laici era stato indicato dal Servo di Dio Giovanni Paolo II come il Dicastero che doveva assumere a nome della Santa Sede i lavori di approvazione di questi Statuti, pur non trattandosi di un’associazione di fedeli. Con il presente atto il Pontifico Consiglio ha dato compimento a quell’incarico del Papa.
I nuovi Statuti seguono sostanzialmente il dettato di quelli approvati sei anni prima. Trentacinque articoli e una disposizione transitoria conteneva il testo provvisorio del 2002, e gli stessi articoli possiede adesso la norma definitiva. Al di là della novità, per nulla secondaria, a cui farò riferimento qui di seguito, nessun cambiamento fondamentale è stato compiuto in questo nuovo passaggio degli Statuti, e quasi tutti gli articoli sono riproduzione esatta di quelli vecchi. Questi sei anni sonno serviti, tuttavia, per fare maggior chiarezza sull’originaria formulazione dei testi e per migliorare la norma sia dal punto di vista tecnico che da quello strutturale.
Il Cammino Neocatecumenale si conferma nei nuovi Statuti come un modello di catecumenato post-battesimale da impartire sotto la direzione dei Vescovi diocesani o, come lo aveva definito Giovanni Paolo II in parole trascritte nell’art. 1° del testo statutario, come un ”itinerario di formazione cattolica”: un programma di formazione alla vita cristiana della persona, di base principalmente catechetica e liturgica, impartito in comunità e condotto secondo ritmi e metodi specifici. Ciò che contiene lo Statuto del Cammino, e ciò che approva adesso la Santa Sede, non è un’associazione di persone, né un “movimento ecclesiale” di fedeli. La Chiesa ha dato la sua approvazione non a ciò che solitamente potrebbe denominarsi una “aggregazione di persone”, bensì ad un “metodo di formazione cattolica”, sebbene l’approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica del metodo e dei contenuti impegni in modo riflesso quanti propongono o ricevono tali mezzi a rispettare le relative regole, senza creare tra di loro alcun legame associativo, come accade con tutta normalità tra i compagni di scuola o i colleghi dell’università. Soltanto in questo senso può interpretarsi il termine “neocatecumeni” usato in riferimento alle persone che “propongono” il Cammino o che “fanno” il Cammino.
Ad onor del vero, pur non essendo una categoria istituzionale tipizzata come tale nell’ordinamento canonico, che per essere costruita richiede l’uso dell’analogia rispetto ad altre norme canoniche – sulla persona giuridica, le associazioni, fondazioni, ecc. –, va pure detto che questa impostazione, ricevuta sei anni fa come una novità, è servita successivamente per meglio capire altre realtà che si riconoscono a stento nei convenzionali sistemi associativi.
A differenza del testo del 2002, gli Statuti ora approvati affermano la personalità giuridica pubblica del Cammino Neocatecumenale (art 1 § 3), erezione che avvenne per iniziativa del Pontificio Consiglio per i Laici, con Decreto del 28 ottobre del 2004. Il punto è di particolare rilevanza perché ci porta alla vera novità che, qua e là, emerge dai nuovi Statuti.
Ci si potrebbe anzitutto domandare qual è il sostrato della personalità giuridica pubblica del Cammino o, in altri termini, a che cosa sia data personalità giuridica nella Chiesa. Ma è altrettanto importante domandarsi quali conseguenze può avere una tale formalità per le persone a vario titolo implicate nell’attività del Cammino Neocatecumenale. In questo momento, naturalmente, mi limiterò a qualche cenno essenziale.
La prima questione risulta abbastanza chiara da quanto si è detto finora. Ciò che in questo caso riceve personalità giuridica pubblica nella Chiesa è propriamente l’itinerario di formazione cattolica, cioè, il metodo di catecumenato post-battesimale che gli Statuti descrivono. Detto metodo rappresenta, infatti, quell’insieme di beni – in questo caso beni di natura spirituale – che secondo il can. 114 § 3 CIC (cfr. anche 115 § 3) è suscettibile di ricevere nel diritto canonico personalità giuridica, a determinate condizioni. Si può definire il Cammino come una fondazione di beni spirituali.
Altrettanto rilevante, però, risulta l’altra questione. Quale rilevanza pratica può avere adesso l’erezione della personalità giuridica pubblica?
Va detto anzitutto che la principale conseguenza – o una delle principali – non va trovata nell’ambito patrimoniale, come di solito accade con le persone giuridiche di natura pubblica nella Chiesa. I soggetti con personalità giuridica pubblica, anziché privata, hanno la peculiarità che i loro beni sono tecnicamente “beni ecclesiastici” (can. 1257 § 1 CIC), e quindi sottoposti ai controlli giuridici stabiliti dal diritto. Nel caso presente il problema non si pone, poiché l’art. 4 § 1 degli Statuti – uguale a quello del 2002, dove la personalità pubblica non veniva affermata – dichiara apertamente: “Il cammino Neocatecumenale, in quanto itinerario di formazione cattolica che si attua nelle diocesi mediante servizi resi a titolo gratuito, non ha patrimonio proprio”. La rilevanza della personalità giuridica pubblica del Cammino va trovata altrove.
A mio modo di vedere, la maggiore conseguenza di questa personalità pubblica, applicata all’itinerario di formazione neocatecumenale, riguarda la particolare autorevolezza ecclesiale con la quale, sotto la direzione dei Vescovi diocesani, s’impartisce finora il Cammino, e nel particolare impegno che, di conseguenza, si assume perché esso sia proposto – come risultava prima, ma adesso con rinnovato impegno giuridico – per mezzo di persone particolarmente selezionate e appositamente formate.
Infatti, nell’art. 1 § 2 degli Statuti si afferma ora che “il Cammino Neocatecumenale è al servizio del Vescovo come una delle modalità di attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana e dell’educazione permanente nella fede”; nell’art. 2° si dice che è sotto la giurisdizione del Vescovo diocesano, sebbene, com’è ovvio, anche con la guida dell’Equipe Responsabile Internazionale del Cammino, che ha, per così dire, la “conoscenza tecnica” di come deve proporsi il Cammino; l’art. 6 § 2 stabilisce che la realizzazione del Cammino va coordinata con la funzione propria del parroco in ogni parrocchia; per concludere poi con una affermazione categorica che tira le somme alle premesse anteriori: le celebrazioni eucaristiche delle comunità neocatecumenali il sabato “fanno parte della pastorale liturgica domenicale della parrocchia e sono aperte anche ad altri fedeli” (art. 13 § 2).
Risulta abbastanza coerente. Essendo caratteristica della persona giuridica pubblica eretta dalla gerarchia della Chiesa il fatto di agire a nome della Chiesa (cf., per analogia, can. 313 CIC), sembra abbastanza coerente che il metodo catechetico configurato adesso con persona giuridica sia presentato facendo parte della pastorale organica della Chiesa, pienamente integrato nella sua struttura, e sotto gli auspici del Pastore diocesano, oltre che dei propri Responsabili che ne conoscono l’identità.
D’altro lato, c’è conseguentemente un uguale impegno perché l’itinerario catechetico sia proposto da persone sempre più qualificate, e così lo segnalano gli Statuti in vari posti. L’art. 17 § 1, riprendendo un’esperienza seguita da sempre nel Cammino, segnala adesso esplicitamente che i catechisti di ogni comunità “sono scelti tra coloro che danno garanzie di vita di fede e morale, partecipano al Cammino e alla vita della Chiesa e sono in grado di dare testimonianza, grati dei beni ricevuti attraverso il Cammino Neocatecumenale”. E più avanti, lo stesso precetto stabilisce ancora che “i catechisti vengono convenientemente formati”, come già prevedeva sin dall’inizio l’art. 29, in tutto identico a quello precedente.
Per quanto riguarda, infine, le cerimonie liturgiche, e concretamente la celebrazione eucaristica, il testo dello Statuto definito si è giovato certamente dei progressi e aggiustamenti di questi anni. Anche qui si è arrivato a un testo chiaro, che si articola in quattro principi sanciti dall’art. 13 degli Statuti. Primo, che i neocatecumeni celebrano l’Eucaristia nella piccola comunità, dopo i primi vespri della domenica. Secondo, che tale celebrazione dopo i primi vespri ha luogo secondo le disposizioni del vescovo diocesano. Terzo, che queste celebrazioni – come ho già detto – fanno parte della pastorale parrocchiale e di conseguenza sono aperte a tutti i fedeli. Quarto, che in queste celebrazioni si seguono i libri liturgici approvati del Rito Romano, “fatta eccezione per le concessioni esplicite della Santa Sede” (uso del pane azzimo per la comunione, spostare il rito della pace, comunione sotto le due specie, brevi monizioni e risonanze). Per quanto riguarda, in fine, la Comunione, il menzionato art. 13 § 3 risulta di una particolare nettezza: “Per quanto concerne la distribuzione della Santa Comunione sotto le due specie, i neocatecumeni la ricevono in piedi, restando al proprio posto”.
Chi si prenda l’impegno di controllare le variazioni tra il testo provvisorio degli Statuti del 2002 e quello definitivo adesso pubblicato, potrà costatare che, oltre a quelle menzionate in queste poche pagine, non vi sono variazioni rilevanti nel corpo del documento. Le modifiche, come dicevo all’inizio, sono state ben poche, sebbene significative come abbiamo segnalato.
E’ certamente un bene per la Chiesa che il Cammino Neocatecumenale sia arrivato adesso all’approvazione definitiva dei propri Statuti. Rimane a noi, con l’aiuto del Signore e della Madonna, fare in modo che queste norme siano applicate con giustezza nei casi concreti dell’attività pastorale della Chiesa.



Incontro con sua Santità Benedetto XVI nel 40° anniversario del Cammino Neocatecumenale a Roma

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Comunicato stampa
(13 giugno 2008)



Non possiamo non ringraziare con profonda gratitudine e grandissima gioia il Signore e la Santa Vergine Maria per questo giorno nel quale Pietro, nella persona di Benedetto XVI, approva in forma definitiva gli Statuti del Cammino Neocatecumenale.
Oggi, 13 giugno 2008, il Card. Stanislaw Rilko, Presidente del Pontificio Consiglio dei Laici, renderà noto il Decreto con cui si promulga la versione finale degli Statuti, dopo i cinque anni “ad experimentum”.
Si conclude così l’“iter”, iniziato nel 1997, su mandato del Papa Giovanni Paolo II, per dare al Cammino un “formale riconoscimento giuridico” e renderlo “patrimonio universale della Chiesa”.
Senza l’appoggio, l’aiuto e il sostegno di Pietro il Cammino non sarebbe potuto arrivare sino ad oggi.
Così Paolo VI, in un momento difficile, quando alcuni ci accusavano di ripetere il battesimo, perché facevamo il catecumenato dopo essere già stati battezzati, nella prima Udienza, l’8 maggio 1974, ci sorprese dicendo:
“… Ecco le cose post-conciliari… Vivere e promuovere questo risveglio è quanto voi chiamate una forma di catecumenato post-battesimale, che potrà rinnovare nelle odierne comunità cristiane quegli effetti di maturità e di approfondimento, che nella Chiesa primitiva erano realizzati dal periodo di preparazione al battesimo. Voi lo portate dopo: il prima o dopo, direi, è secondario. Il fatto è che voi mirate all’autenticità, alla pienezza, alla coerenza, alla sincerità della vita cristiana. E questo è merito grandissimo, ripeto, che ci consola enormemente...”.
Dalle baracche di Palomeras Altas di Madrid, dai poveri del Borghetto Latino di Roma, dalla Curraleira, zona dei miserabili di Lisbona… Quanto difficile è stato arrivare alle parrocchie di tante nazioni! Ma Giovanni Paolo II, come un angelo inviato da Dio, ci ha difeso e sostenuto fino a scrivere nella Lettera Ogniqualvolta a Mons. Cordes:
“Riconosco il Cammino Neocatecumenale come un itinerario di formazione cattolica, valida per la società e per i tempi odierni. Auspico che i Fratelli nell’Episcopato valorizzino e aiutino – insieme con i loro Presbiteri – quest’opera per la nuova evangelizzazione, perché essa si realizzi secondo le linee proposte dagli iniziatori…” (1).
Ma oggi la nostra riconoscenza e gratitudine va al Papa Benedetto XVI che con tanto amore ha seguito e approvato la conclusione dei lavori
Abbiamo avuto modo di conoscere il Santo Padre sin da quando era professore a Regensburg nel 1974: non solo ci accolse con grande affetto e interesse, ma aiutò in maniera determinante l’introduzione del Cammino in Germania. Abbiamo poi potuto approfondire la Sua conoscenza quando la Santa Sede ha voluto l’esame dettagliato dei contenuti teologici di tutte le catechesi relative alle diverse tappe del Cammino e il Card. Ratzinger, come Prefetto della Congregazione per la Fede, lo guidò in prima persona, fino all’approvazione degli “Orientamenti alle équipes dei catechisti” nel 2003 (2).
Con l’approvazione di questi Statuti la Santa Sede assicura che questo itinerario di iniziazione cristiana, reso possibile dalla riscoperta del catecumenato nel Concilio Vaticano II, e vissuto in piccole comunità, sia tutelato nei suoi caratteri specifici e nella sua continuità, offrendo ai Vescovi “i principi base di attuazione del Cammino Neocatecumenale in fedeltà al suo progetto originario” (Giovanni Paolo II, Castel Gandolfo, 21 settembre 2002).
L’iter di approvazione si è protratto perché il Cammino Neocatecumenale, quale strumento per l’iniziazione cristiana degli adulti, produce frutti di diversa natura – dal rinnovamento delle parrocchie alla figura dei catechisti itineranti e delle famiglie in missione; dalla formazione di presbiteri per la nuova evangelizzazione nei più di settanta seminari diocesani “Redemptoris Mater” nel mondo, alla nuova esperienza della missio ad gentes in Europa, Asia e America – interessando con ciò le competenze di ben 5 diversi dicasteri vaticani: la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per il Culto Divino ed i Sacramenti, la Congregazione per il Clero e la Catechesi e la Congregazione per l’Educazione Cattolica, che hanno esaminato con cura gli Statuti, insieme al Pontificio Consiglio per i Laici, che ha coordinato e concluso il processo.
Dopo l’approvazione degli Statuti, davanti alle grandi sfide che attendono la Chiesa, siamo lieti di poterci offrire al Santo Padre ed ai Vescovi, per la nuova evangelizzazione e la trasmissione della fede alle nuove generazioni.
Pregate per noi.



1) Giovanni Paolo II, Epist. “Ogniqualvolta”, 30 agosto 1990: AAS 82 (1990), 1515.
2) Comunicazione scritta del Card. J.F. Stafford agli Iniziatori del Cammino Neocatecumenale, 1 marzo 2003, Prot. N. 219/03 AIC-110.


Incontro con sua Santità Benedetto XVI nel 40° anniversario del Cammino Neocatecumenale a Roma

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